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Ad un certo punto del mio cammino ho sentito il profondo desiderio di ripercorrere luoghi e strade della mia vita e soprattutto della mia infanzia dorata ricca di incanto, fiutandone le tracce, per ritrovarla malgrado il suo lento sfuocarsi in quell’atmosfera così priva di contorni.

E cosi da distratto viaggiatore e assonnato passeggero mi sono trasformato in un attento viandante che ha voluto percorrere il suo sentiero fino in fondo all’essenza delle cose, nella sua isola mentale.

Quei ricordi per me rappresentano il passaggio dalla realtà alla coscienza in cui si sedimentano le pulsioni più profonde, ricche di quella realtà essenziale del passato che solitamente non ci è dato di cogliere nel momento stesso in cui lo viviamo.

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Uno spiraglio di luce sfolgorante mi trapassava gli occhi socchiusi e i rintocchi delle campane della chiesa vicina mi risuonavano dentro come un sogno lontano.

Sara era fermamente determinata a considerare il mondo come un luogo di splendore, di libera espansione, di azione irresistibile; dentro di sé era convinta che fosse cosa detestabile passare per timidi o vergognosi, specie quando giocavamo a fare i grandi scambiandoci verecondi baci. Nutriva anche una irresistibile speranza che non avrebbe mai fatto nulla di male a nessuno e soltanto l’idea di infliggere un’offesa a un altro bambino la obbligava a trattenere il fiato insegnandomi che era male essere meschini e crudeli con chiunque, pur sapendo ancora poco del male del mondo.

La sua vicinanza lasciò in me tracce di colore che i miei occhi non avevano mai osservato e che da quel momento mi aiutarono a generare un istinto senza tempo che mi portò a comprendere meglio quel mondo tutto femminile così variegato e, apparentemente, così pieno di incognite in cui batteva il cuore di tutto l’universo. Il posarsi calmo della luce sulle imposte annerite dei verdi finestroni, l’intensità del verde che dal di fuori sembrava volersi affacciare all’interno e spiare da ogni apertura, il senso di ben ordinata segretezza all’interno di quell’istituto, un posto dove i rumori erano squisitamente accidentali, dove il passo suonava smorzato dalla stessa terra e la calma mite dell’aria leniva ogni stonatura nelle voci, era molto irreale e ci teneva sospesi in una dimensione fantastica e atemporale da cui non ci saremmo mai voluti risvegliare.

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Ogni minima carezza di quegli anni sopravvive ancora dentro di me, non mi abbandona mai e mi richiama se sono assente. Era una chioma bianca di forma terrestre mia nonna, ma in realtà era un angelo che mi sorrideva e mi ascoltava quando glielo chiedevo. Era un raggio di sole tra le foglie morte della mia infanzia e un volto che racchiudeva tutto l’amore del mondo. Perfino la sua voce era una eco piena di vita e confortava i miei frequenti silenzi privi di domande ma colmi di ingenue speranze da assaporare ad occhi chiusi. Lei, la sorgente di segreta saggezza, ed io, con le mani aperte, a raccogliere goccia a goccia la limpida acqua del suo mare infinito.

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Il mare fu per me il mio primo vero amico, il mio primo amore, a lui confidavo i miei più riposti pensieri, i vaghi turbamenti dell’anima e del cuore, segreti che non avrei svelato a nessuno, neanche al mio compagno più caro. Sull’onda lieve orlata di spuma che veniva a lambirmi i piedi deponevo i miei propositi più reconditi, i sogni più accarezzati. Fu lì che colsi l’eterno seppure ammaccato, sdrucito, logoro come una bandiera dalle mille battaglie. Ho trascorso ore a contemplarlo da una panca, dalla cima di un molo, in passeggiate senza meta lungo rive solitarie che sommate farebbero mesi, anni. Senza che me ne rendessi conto, prendeva forma sul suo monotono lieto sciabordare la mia tendenza a fantasticare, la mia passione per le deambulazioni solitarie e la mia indole contemplativa e meditativa.

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La donna è per me la notte che respiro, l’aurora che mi spalanca la finestra della vita, il vento che abbatte le porte chiuse, l’urlo che infrange i cristalli del tempo e la luce che illumina gli angoli più bui del mondo. Grazie a lei io non ho lamenti. Più nero e più pesante è il mio passato, più leggero e più limpido è il bimbo che ero e l’uomo che sono oggi. Trattengo il suo battito nella mia pelle, assorbo l’onda di luce che sale, mi inebrio della sua fragranza di pianeti dimenticati come immerso tra i frutti più maturi del suo meraviglioso giardino e nella freschezza del suo amore ritrovo pace e ristoro. È lei che addolcisce le pietre del male, riflette i miei orizzonti, veglia sui miei sogni e cancella le tristi fiamme dell’inferno che sono ovunque intorno a me.

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