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Niente di più magico di quella notte sotto il cielo stellato di Parigi tra lucciole e zanzare immersi in una folta vegetazione e in un’oscurità trafitta da un raggio obliquo di luce lunare, mentre il vento scomponeva i suoi capelli ondulati e setosi. Sotto quel fascio di luce, il viso di Nicole, attraverso i suoi occhi impertinenti e pieni di passione, rifletteva una deliziosa impazienza di volersi perdere nel godimento più sfrenato.

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Terminai la lettura di tutte le carte alle quattro del mattino e dopo appena due ore passate nel letto mi rassegnai e mi alzai. Pensavo e ripensavo a quell’azione mancata, a quel curriculum mai inviato e a quanto sarebbe stato spregevole farlo. Avrebbe significato toccare il punto più basso della mia carriera di essere umano rendendomi complice di quella sordida faccenda che mi avrebbe costretto a confrontarmi con la mia fiacchezza morale. Avrei dimostrato a me stesso di non essere la persona retta, buona, forte e integra che, invece, avevo sempre creduto di essere. Mi mancavano tanto i consigli di mio padre, mi sembrava quasi un torto che lui non ci fosse più. Mi mancava pesantemente quella figura calma e rassicurante che si era allontanata dalla mia vita senza alcun preavviso.

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«Era molto bella» commentai come se quella languida creatura non l’avessi mai conosciuta, come se quelle rosee labbra io non le avessi mai sfiorate. Sua madre ritta davanti all’asse da stiro passava il ferro con la leggerezza di una piuma sulle pieghe della stoffa con la punta che sembrava navigare su quel tessuto come una minuscola barchetta sopra uno specchio di mare azzurro. Poi spense il ferro che dopo uno sbuffo di vapore continuò a gorgogliare, e si mise ad appuntare i vari pezzi di stoffa.

«Ho voluto chiamarla Elisa, dall'ebraico El, ‘Dio’, eisch, ‘salvare’, il suo significato sarebbe quindi ‘Dio è Un nome scelto in una notte, strappato all’universo come un sussurro che diventa materia celeste in

«La chiamavate Eli, vero?».

«E lei come lo sa?» mi chiese palesemente stupita.

«Ci sono legami che ti aspettano su incroci del destino che mai avresti immaginato. Il ricordo spesso unisce ciò che la vita nel frattempo separa.
Te lo ritrovi davanti all’improvviso come una strana, inaspettata, piacevole connessione, come una carezza senza tempo...»

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«In tutti questi anni ho dovuto credere in qualcosa anche quando non c’era più nulla in cui credere. Quando cominci a indurirti non hai più nulla, il tuo istinto muore giovane e si trasforma in sospetto. Resti un semplice ignorante in balia delle tue menomazioni. Prima non c’erano né colpe, né responsabilità, né peccatori, ma solo gente senza rispetto e senza vergogna per i delitti commessi e per i miei patimenti. Bisognava solo accettare di morire in silenzio, piano piano. Quando mi sei riapparso, dopo quasi un quarto di secolo, ho visto il bambino, l’innocenza, l’oblio, un gioco che ricominciava, due ruote di bicicletta che giravano, un fischietto di inizio partita, un pallone che rimbalzava, una nuvola a forma di cuore, una nuvola punto di domanda, un dito puntato sulla luna, un due tre stella, un aeroplano di carta, un girovagare fra i campi, l’imbrunire, il ronzio delle auto, le impronte nella sabbia, le dita nel naso, il pianto, i coleotteri necrofori, i pantaloncini pisciati, la sete, le magliette macchiate, la nostra infinita forza, noi, tu, io».

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